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M. Serao, Il ventre di Napoli, Napoli, Perrella, 1906

Adesso, Le case del popolo, pp. 117-120:
(…) Citiamo il Borgo Marinai, a santa Lucia, posto che si dovevano abbattere, sino da venti anni, tutte le case pittoresche e sporchissime dell’antico rione santa Lucia, case che, oh ironia, si vanno abbattendo solo da un anno, e si era preoccupati dove si sarebbero allogati quei pescatori di polipi, quelle venditrici di acqua sulfurea, quegli intrecciatori di nasse, quei sommozzatori o palombari, si pensò e si costruì, sulla lingua di terra che parte dalla sinistra, di Castel dell’Uovo, un gruppo di casette a un piano, sulla riva del mare. Costavano, costano diciotto lire, una stanzetta con la cucina, e ventisette lire due stanzette con la cucina. Irrisione! Nonsenso! Non vi è pescatore, non vi è palombaro, non vi è barcaiuolo di santa Lucia che guadagni più di venticinque o trenta soldi al giorno e volete che ne spenda diciassette soldi, al giorno, solo per la casa? Non vi è venditrice di acqua minerale, di noci, di frutta fracide, di ciambellette, di spassatiempo che guadagni, quando li guadagna, più di dodici o quindici soldi al giorno e, se è sola, se è vedova, se è abbandonata dal marito, come potrebbe pagarne diciassette, al giorno, per il pigione di casa? In breve: come era naturale, non un solo luciano, non una sola luciana è andata ad abitare al Borgo Marinai. Non uno, una! Hanno preferito, ostinatamente, le loro vecchie, dirute, sudicissime case che, per diciotto anni, hanno aspettato il piccone, ove pagavano nove o dieci lire il mese, di pigione – è TUTTO ciò che può pagare il popolo napoletano NOVE o DIECI LIRE il mese! – e negli ultimi due anni, man mano si sono ritirati più indietro, nelle medesime catapecchie, e scacciati dalle demolizioni, sono rientrati, rientrano la notte ad abitare le rovine, e si gittano alle ginocchia dei demolitori, per non essere perseguitati dalle guardie, dai carabinieri, e piangono, e gridano, e urlano, non vogliono andar via, non sanno andar via, e alcuni di essi, o pietà grande, abitano, adesso, nelle grotte onde è forato il monte Echia che sovrasta santa Lucia, e talvolta una di queste grotte frana sulle teste, sui corpi di questi miseri luciani che dormono, e li uccide. Intanto dirimpetto, sotto il forte Ovo, il Borgo Marinai scintilla di lumi che si riflettono nelle acque del mare. Chi vi abita, chi vi vive, mai? Pittori che scelsero quei quartini per istudio, poiché il posto è pittoresco; qualche loro modella; delle ballerine o delle chanteuses del vicino cafè chantant dell’Eldorado, che prendono in affitto, per un mese, per quindici giorni, una cameretta con cucina; qualche donnina di facile vita e misera fortuna; e altra minuta gente, non del popolo. In quanto alle botteghe, esse in un vasto angolo, sono tutte trasformate in osterie grandi e piccole, alcune carissime, altre modeste, altre vere taverne e vi si aspira un’aria mefitica di cucine più o meno malsane, e nel piccolo porto cadono tutti i detriti di queste taverne e ciò contrista, affligge, avvilisce i due eleganti clubs dei canottieri che sono sulla riva accanto. A ogni modo il Borgo Marinai è vivido, lieto, curioso: e inutile, infine, anche al santo scopo a cui serviva. I luciani sono d’altra parte respinti di stamberga in stamberga, respinti di rovina in rovina, di grotta in grotta. E dopo, quando tutto, tutto sarà demolito dove andranno questi superbi ma poverissimi popolani, quelle fiere, ma miserissime popolane dove andranno? Lo sa Iddio! (…).

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